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mercoledì 11 maggio 2011

L'esperienza intellettuale di John Ruskin

L'esperienza intellettuale di John Ruskin (1819 - 1900) maturò dal confronto tra la sua indole sensibilissima verso l'arte e la bellezza con le trasformazioni di un'epoca storica che vide lo sviluppo dell'industrializzazione ed il trionfo del capitalismo. Ruskin concepiva l'opera d'arte, fosse stata essa pittorica scultorea o architettonica, come un mezzo privilegiato attraverso il quale l'artista trasmette i suoi valori ed il suo ideale, infondendo sé stesso in quella così da offrire allo spettatore un modello da imitare. Agli occhi di Ruskin l'opera acquistava maggiore pregio non tanto per la sua oggettiva bellezza, quanto in relazione all'altezza del messaggio che trasmetteva ed alla predisposizione dell'uomo che la realizza. Con questa premessa è facile comprendere l'ammirazione che Ruskin nutriva per l'arte romanica e gotica, carica dei valori spirituali di una religione ancora fedele alla dottrina delle origini, un'arte che era dichiarazione di sincera e pia devozione. Con un'acrobazia concettuale Ruskin arrivò a ritenere che, se l'arte veicola valori morali, allora essa acquista una propria dignità che impone di trattarla non come cosa inanimata, ma come creatura vivente: questa impostazione teorica si tradusse in quella che a mio avviso è la più bizzarra ed affascinante teoria artistica] di Ruskin, ovvero il "restauro romantico". Questo non era solo un innovativo modello tecnico, ma vera e propria espressione d'un credo artistico-filosofico: andando in controtendenza rispetto alla moda vittoriana diffusa tra i suoi contemporanei, Ruskin affermò che l'opera d'arte proprio in quanto creatura vivente deve affrontare un naturale percorso di creazione-decadimento- morte senza che l'uomo vi intervenga, se non per accorgimenti superficiali atti a ritardare questo processo.
John Ruskin non fu solo un illuminato critico d'arte, ma anche un audace critico della società inglese artefice e vittima delle sue contraddizioni economiche e sociali: si sdegnò e provò disgusto per la dirompente industrializzazione , ma anche umana commiserazione per coloro che ne subirono le ripercussioni più drammatiche, i quali ai suoi occhi non s'impoverirono tanto materialmente quanto sul piano dei valori spirituali. L'illustre docente di Oxford, armato della sua incrollabile forza morale protestò accanitamente, sin quando le forze gli vennero meno, contro la trasformazione degli operai da uomini a macchine, cercando di rispondere concretamente alla barbarie dello schiavismo industriale progettando, col supporto economico della cospicua eredità paterna, un modello di industria ispirato al socialismo utopistico di Saint-Simon ma soprattutto da un sincero e disinteressato filantropismo.
Niccolò Mochi