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venerdì 17 giugno 2011

Paolo e Giovanni: due italiani che non sanno arrendersi

La loro è una storia di quelle che meriterebbero d'essere cantate dai poeti dell'antichità.
I loro nomi sono impressi nella mente di tutti; pure di quelli che qualche anno fa dicevano che non avevamo bisogno di eroi. Due magistrati,due umili servitori dello stato: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Vogliamo parlare di loro senza retorica,senza la cerimonia con cui i poeti antichi cantavano i loro eroi: siamo nel duemilaundici e noi abbiamo i piedi ben piantati nel nostro tempo.
Paolo era abituato a stringere i denti fin dai tempi della scuola: studente di talento, infaticabile lavoratore, aveva pure trovato il tempo e la voglia per fare politica. Dalla parte dei più deboli,ovviamente,e dalla parte della Patria. Paolo era un dirigente del Fuan di Palermo,sezione universitaria del Movimento Sociale: stava coi fascisti insomma, e prendeva pure le botte da quelli che di li a pochi anni l'avrebbero considerato un eroe.
Giovanni è sempre stato un irriverente,uno che le cose le diceva in faccia e pure uno che la vita la prendeva di petto. Fu proprio lui, dopo l'omicidio del giudice Terranova,a chiedere di essere trasferito a Palermo. Giovanni era uno che ci voleva vedere chiaro, e fin da subito cominciò a denunciare pubblicamente le collusioni del mondo politico ed economico con la mafia. Collusioni che ,come si legge nel suo “cose di cosa nostra”(che dovrebbe essere utilizzato a scuola come libro di testo), solo il “Prefetto di ferro” Cesare Mori era riuscito ad estirpare col pugno di ferro. A Giovanni dobbiamo l'organizzazione del sistema delle procure antimafia,l'unico sistema che è riuscito, pur con mille difficoltà, a registrare qualche successo nella lotta contro il crimine organizzato. Guardate i loro visi,imprimeteli nelle vostre menti. Loro sono la dimostrazione che ci sono italiani che non sanno arrendersi.


Lorenzo Galligani