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mercoledì 2 novembre 2011

La Gioventù Bruciata di Michelstaedter



Le giovani vite stroncate dal tormento e da abusi autolesionisti esercitano da sempre un fascino irresistibile agli occhi della massa, me compreso. Il mito del cosiddetto "Live fast, die young" ha reso molti artisti delle vere e proprie icone generazionali, a volte anche oltre i veri meriti di questi. Eppure non rientra in questo giro di "fama facile" Carlo Michelstaedter, rimasto tutt'oggi semi-sconosciuto ad un pubblico di cercatori d'idoli. Michelstaedter fu un poeta e un saggista goriziano morto suicida nel 1910 alla giovane età di 23 anni; il modo migliore per descriverlo è certamente l'immagine di un viandante solitario che percorre la sua strada senza ambizione o meta precisa, il giovane studente di lettere infatti, nella sua breve vita, non ha mai scritto nulla indirizzato al "grande pubblico": la sua principale opera, ovvero "La Persuasione e la rettorica", altro non era che la sua tesi di laurea, e le poche poesie da lui scritte erano indirizzate come lettere a persone ben precise, e nessun estraneo le avrebbe mai dovute leggere. Insomma, non si può certo dire che gli interessasse di avere i dannunziani riflettori addosso, eppure la sua non è una personalità da ignorare, o da far passare in secondo piano. Basta leggere qualche estratto della sua opera/tesi, ovvero "la persuasione e la rettorica" per capire la tensione tra la vita e la morte che attanagliava il cuore di Michelstaedter. Ogni uomo tende alla totale persuasione, ovvero alla completezza, e scopo della sua vita dev'essere proprio quello di raggiungerla. E' una volta raggiunta che l'uomo ha realizzato il suo piccolo scopo, ed è per questo che dopo la persuasione completa ci aspetta la morte. Questa non deve spaventare, dice Michelstaedter: "Chi ha paura della morte è già morto". La morte distrugge solo ciò che è nato, ma chi tende o raggiunge la persuasione sa che la vita non si risolve solo nell'essere nati, anzi, la nascita diventa tassello sì necessario, ma non fondamentale alla vita, che è possesso del nostro mondo nel presente. Non si deve guardare al futuro, l'unica cosa sicura del futuro è appunto la morte, il fare programmi altri non è che uno stratagemma della retorica, che impegnata a preservare la vita come semplice sopravvivere, distoglie lo sguardo dell'uomo dalla vera persuasione, che appunto ne provocherebbe la morte. Una incredibile coerenza alle conclusioni a cui era arrivato portò Michelstaedter, il 16 ottobre del 1910, a scrivere il finale della sua tesi con un colpo di rivoltella alla testa. Il suo nome rimane nell'ombra nonostante l'intensità della sua vita artistica, che lo portò al folle gesto, mentre resta sulle nostre pareti e sulle nostre magliette l'immagine del Sid Vicious della situazione, morto solo per aver esagerato con la droga, e dal talento assai dubbio. Ma non me la sento di prendermela troppo con il povero Sid Vicious, in fondo qualche cosa in comune con Michelstaedter l'aveva: entrambi, infatti, non sapevano suonare il basso. 
NICOLO BINDI