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mercoledì 2 novembre 2011

Pechino: in “incubo permanente”

Ai Weiwei è un designer, architetto e artista di fama mondiale cinese, tanto per intendersi colui che ha disegnato l’avveniristico stadio-simbolo dei Giochi Olimpici del 2008, il cosiddetto “Nido d’uccello” per la sua forma tondeggiante e curvilinea che ricorda appunto un nido. E’ finito in carcere il 2 Aprile 2011 con la sola colpa di aver alimentato le critiche del sistema economico e sociopolitico cinese. Di recente ha ottenuto la libertà vigilata e con audacia lodevole e per certi versi eroica continua a dire la sua sul suo paese. Definisce Pechino “una città kafkiana, un incubo permanente, che aliena i suoi abitanti spesso privandoli dei loro diritti fondamentali, una città violenta e concorrenziale, nella quale la vita può portare a diventare pazzo. Pechino è costituita da due città: una è quella del potere e del denaro, gente che se ne frega dei propri vicini e che non si fida di nessuno. L’altra è quella della disperazione. Guardo la gente sugli autobus e non leggo più alcuna speranza nei loro occhi, una città di schiavi, milioni di migranti che affluiscono ogni anno per costruire ponti, strade, case, grattacieli. Sono gli schiavi di Pechino. Sopravvivono in strutture abbandonate e terribili, in quartieri squallidi che vengono poi distrutti, mano a mano che la città avanza” Il quadro del dissidente cinese è senza dubbio inquietante e sconvolgente. Sono questi gli esiti del più sfrenato, meschino e spietato sistema comunista dell’era moderna? La realtà è che la Cina ormai di comunista non ha davvero più nulla, basti pensare all’ossimorica definizione che studiosi e politologi moderni danno del sistema cinese: Comunismo capitalistico. Il quadro ricorda molto la doppia natura di molte città nel momento di massimo sviluppo industriale dell’ ‘800 in Europa, penso alle tragiche condizioni della città di Londra e all’ambivalenza del tenore di vita della popolazione: al lusso sfrenato e al benessere della classe agiata, borghesi, mercanti e industriali in primis si opponeva, nascosta e indigeribile per le coscienze vittoriane buoniste e liberali la seconda nazione, quella dei quartieri disagiati, quella dello sfruttamento minorile e femminile e del degrado sociale e morale. Quelle che il politico Benjamin Disraeli chiamava “le due nazioni”.
Il percorso e lo sviluppo dell’utopia di un sistema comunista sembra aver dato il peggiore dei frutti nel paese che, insieme alla Russia, più di ogni altro ha insistentemente perseguito il fine di una realizzazione politica del suddetto schema politico. Un tragico ritorno a ciò che i vati del comunismo teorico quali Marx e Engels rigettavano senza mezzi termini e consideravano il male assoluto. Lo sfruttamento incondizionato delle risorse del territorio, l’industrializzazione sfrenata, il far west economico, la contraffazione di marchi stranieri, la concorrenza sleale, le condizioni lavorative pessime, la soppressione delle libertà fondamentali, la censura come mezzo per intimorire il popolo. Un esito tragico e ignorato che dovrebbe far riflettere e non essere ignorato per salvaguardare ideologie e progetti politico. Ma gli Stati Uniti e l’Occidente sono ormai schiavi della Cina, basti pensare al fatto che essa detiene il 50% del debito pubblico statunitense; gli USA quindi supinamente ignorano tutto ciò per timori di ritorsioni e di cadute in Borsa dei propri titoli.
Questo è il panorama odierno, un mondo tenuto in scacco dal potere economico cinese.

MARCO MUNGAI